
Dalla strategia all'adozione di tecnologie emergenti: il Chief Technology Innovation Officer Antonio Batistini racconta come MAIRE trasforma l'innovazione in un processo collettivo, orientato al futuro e al mercato.
«L'innovazione è in tutto ciò che facciamo. Miglioriamo man mano che impariamo e coinvolgiamo gli altri affinché mantengano questa mentalità»: questo motto – al centro del nuovo numero di EVOLVE – è dedicato al tema dell'innovazione come motore strategico e culturale all'interno delle organizzazioni. In MAIRE l'innovazione non è solo un obiettivo: è un approccio quotidiano, un modo di essere e agire che attraversa tutti i livelli aziendali, dalla ricerca tecnologica alle pratiche operative, fino alla gestione del capitale umano.
Per comprendere meglio come questa visione si traduce in processi concreti e orientati al futuro, abbiamo incontrato Antonio Batistini, Chief Technology Innovation Officer del Gruppo. È lui in MAIRE l'anima dell'Innovation Management Team, una struttura ampia e articolata che coordina le principali leve dell'innovazione del Gruppo: dal Green Innovation District, futuro cuore pulsante delle attività di ricerca e sviluppo, alla gestione del portafoglio di innovazione, passando per la proprietà intellettuale, le collaborazioni di open innovation e l'intera catena di sviluppo tecnologico. Il suo compito è rendere l'innovazione un processo sistemico, continuo, scalabile e ispirato ai reali bisogni del mercato.
Partiamo dalla definizione: che cos'è davvero innovazione secondo lei?
In effetti spesso si fa confusione tra innovazione e invenzione. Innovazione non è sinonimo di invenzione: l'innovazione è la sovrapposizione di tre elementi fondamentali: un'invenzione, il valore che essa crea per l'azienda e il valore che apporta al cliente che la adotta. Questi tre elementi devono coesistere.
È come un diagramma di Venn con tre cerchi: innovazione si realizza solo dove i tre ambiti si sovrappongono. E questo vale non solo per un prodotto o una tecnologia, ma anche per un modello di business o per l'esperienza del cliente. Migliorare la percezione o l'utilizzo di un prodotto a livello del cliente finale può essere un'innovazione: meglio ancora se genera crescita profittevole e sostenibile per l'azienda.
Quindi, innovazione non è solo una nuova invenzione, ma la capacità di creare qualcosa che abbia anche un valore distintivo per chi lo utilizza. Se manca questo elemento, resta un'invenzione accademica, fine a sé stessa. Inoltre, l'innovazione non appartiene a una sola figura aziendale, nemmeno al CTO. Non è un processo calato dall'alto, non è prerogativa di pochi "illuminati". È un processo ispirazionale e collettivo, in cui chiunque può proporre un'idea o dare un contributo.
Come viene strutturato il processo di innovazione all'interno di MAIRE?
Chiaramente, affinché un'idea diventi innovazione concreta e commerciale, deve seguire un percorso strutturato. In MAIRE lavoriamo per ottimizzare questo processo tramite il modello "stage and gate", che prevede fasi di validazione e decisione progressiva, dalla definizione dell'idea (Technology Readiness Level 1) fino alla realizzazione industriale (TRL9).
La cultura che favorisce un ecosistema innovativo deve essere semplice e focalizzata. È essenziale che l'innovazione sia supportata dall'alto verso il basso, dal top management fino ai nuovi giovani ingegneri. E soprattutto, deve stimolare un pensiero divergente: non possiamo permetterci che tutti ragionino allo stesso modo. Il pensiero critico e la diversità di opinione sono fondamentali per innovare davvero. Se tutti pensano allo stesso modo, nessuno porterà un contributo diverso.
L'innovazione richiede immaginazione, ma anche velocità. Non possiamo permetterci processi infiniti: se impieghi troppo tempo per portare un'idea sul mercato, il ritorno sull'investimento si azzera. Serve quindi anche una cultura aziendale che accetti il rischio. L'innovazione più significativa nasce spesso proprio da ciò che sembra "lontano" rispetto a quello che si è sempre fatto. È qui che si trovano le soluzioni davvero sostenibili.
Quanto conta il mercato nell'orientare le scelte di innovazione e quali caratteristiche personali servono per innovare davvero?
L'innovazione deve essere sempre guidata dal mercato. Non può essere sviluppata in laboratorio e poi lanciata senza ascoltare i bisogni reali. Occorre partire dalle insoddisfazioni, dai desideri inascoltati, dai limiti delle soluzioni attuali. Se realizzi qualcosa che nessuno vuole, che non risolve un problema o che non porta vantaggi reali, non stai innovando: stai solo inventando qualcosa di scollegato dalla realtà. Più sei capace di osservare in modo agnostico – cioè senza partire dalla soluzione tecnologica – le limitazioni delle soluzioni attuali, più sarai in grado di rispondere efficacemente a processi o problematiche concrete con prodotti e soluzioni innovative.
Un esempio? Nessuno ha chiesto esplicitamente a Steve Jobs di inventare l'iPhone. Ma lui ha colto il bisogno emergente di maggiore mobilità, accessibilità alle informazioni e comunicazione istantanea. Ha messo insieme tecnologie già esistenti in modo nuovo e coerente, creando il telefono più venduto al mondo. Questo è fare innovazione: non significa inventare la penicillina ogni cento anni, ma unire soluzioni esistenti in modo più efficace per rispondere ai bisogni reali.
Per farlo servono persone con un certo tipo di mentalità. Una cultura dell'innovazione richiede infatti rapidità di apprendimento e pensiero non lineare. Non si può restare bloccati nell'analisi fino all'ultima cifra dopo la virgola: serve la capacità di associare elementi mai combinati prima, per generare soluzioni davvero innovative e disruptive.
Chi innova deve essere poi anche resiliente. L'innovazione è un percorso pieno di ostacoli, cadute, deviazioni rispetto alla linearità ideale. È un continuo "ottovolante" fatto di successi parziali e momenti di fallimento. Serve la capacità di analizzare questi insuccessi in modo costruttivo, individuare le criticità e ripartire con forza e lucidità.
Alla base, c'è sempre l'essere umano. Innovare significa avere il coraggio di mettere in discussione lo status quo. Se si accetta tutto così com'è, l'innovazione non accade. E bisogna anche saper lavorare sotto pressione e nell'incertezza. Come dico spesso: «When we innovate, we don't know what we don't know". Ci si confronta con problemi che prima non si conoscevano nemmeno perché non c'erano, o perché nessuno li aveva mai analizzati davvero. Chi guida i progetti di innovazione deve possedere una doppia capacità: tecnica e commerciale. È necessario capire a fondo l'elemento distintivo che crea valore e sapere come questo valore possa essere espresso in modo sostenibile nel mercato.

"L'INNOVAZIONE RICHIEDE APERTURA, SPIRITO CRITICO, PENSIERO LATERALE E CAPACITÀ DI ACCETTARE IL RISCHIO. E QUESTE DOTI POSSONO APPARTENERE TANTO AI GIOVANI QUANTO AI SENIOR: QUELLO CHE CONTA DAVVERO È L'ATTEGGIAMENTO."
L'innovazione ha a che fare con l'età o piuttosto con una predisposizione mentale?
L'idea che solo i giovani siano portati all'innovazione e che i senior siano più conservatori è un falso mito. Non è l'età a determinare la capacità di innovare, ma la forma mentis. È una predisposizione personale, uno stile cognitivo, una curiosità naturale che può essere presente in chiunque, indipendentemente dall'anagrafe.
Chi vuole davvero innovare deve abbandonare espressioni come «è impossibile» o «non ci riusciremo mai». Queste frasi vanno eliminate dal vocabolario di chi si occupa di innovazione. A parte l'idea di vivere in eterno, tutto il resto in linea di principio è possibile. Magari non oggi, magari tra cent'anni, ma ogni problema ha potenzialmente una soluzione, forse ancora da scoprire, forse da raggiungere attraverso un'innovazione diversa.
La vera sfida sta nella capacità di connettere punti apparentemente disconnessi. A volte una soluzione pensata per un ambito – ad esempio quello medicale – trova applicazione in un settore completamente diverso, come l'automotive. È la trasversalità dei concetti, delle piattaforme e delle intuizioni che genera in- novazione. E questo tipo di visione non è legata all'età anagrafica, ma a una struttura mentale aperta, capace di vedere le cose da prospettive inedite.
Al contrario, chi lavora in modo troppo lineare o consequenziale rischia di rimanere ancorato a ciò che è già noto. Ma l'innovazione richiede apertura, spirito critico, pensiero laterale e capacità di accettare il rischio. E queste doti possono appartenere tanto ai giovani quanto ai senior: quello che conta davvero è l'atteggiamento.
Lei distingue tra innovazione strategica e innovazione incrementale: che differenza c'è e che valore hanno entrambe?
Si tratta di due approcci distinti e complementari, entrambi fondamentali. L'innovazione strategica guida il raggiungimento degli obiettivi di business attraverso investimenti significativi in ricerca e sviluppo. È tipica delle aziende pronte ad affrontare rischi elevati per generare soluzioni nuove e di rottura. L'innovazione incrementale, invece, si basa su conoscenze e tecnologie esistenti e punta a migliorare progressivamente prodotti o servizi. È a basso rischio e costo, ma può avere un impatto significativo nel tempo grazie all'accumulo di piccoli cambiamenti. Entrambe le forme di innovazione possono coesistere all'interno di un'organizzazione, in momenti e contesti diversi. Non esistono infatti ingegneri di serie A e ingegneri di serie B. Sono tutti professionisti di pari valore, semplicemente con mentalità e attitudini differenti.
Io, ad esempio, non riuscirei a dedicarmi a lungo all'innovazione incrementale: mi annoierei. Ma ci sono colleghi che trovano in quel lavoro motivazione, soddisfazione e risultati concreti in tempi brevi. Vedere il frutto del proprio impegno applicato rapidamente sul campo, mantenendo la competitività dell'azienda, è un driver fortissimo per molte persone. È importante che la nostra organizzazione permetta alle persone di passare, se lo desiderano, da un ambito all'altro. Non devono esistere barriere rigide. Ognuno può trovare la propria collocazione in base a quanto si vuole mettere in gioco e sfidare.
Aggiungo che l'innovazione incrementale nasce spesso da chi è più a contatto con il mercato. Sono questi i professionisti che, osservando da vicino i clienti e i contesti applicativi, riescono a cogliere segnali deboli, intuizioni preziose, esigenze che magari nessun altro ha ancora intercettato. E da lì può partire anche un'idea strategica. È un ciclo continuo. Spesso chi lavora nell'innovazione strategica ha meno contatto diretto con il mercato. Per questo la sinergia tra i due mondi è fondamentale. Serve una struttura aperta, trasversale, dove le competenze operative e quelle creative si parlano. È così che si crea un ecosistema davvero innovativo.

Come si integra questa visione nella struttura organizzativa di MAIRE?
Chi si confronta ogni giorno con il mercato, i clienti e contesti regionali diversi ha una prospettiva privilegiata. Le differenze in termini di risorse, configurazione geografica e disponibilità tecnologica possono generare spunti originali e contribuire all'identificazione di nuove idee.
MAIRE è un grande gruppo multinazionale che evolve verso una struttura sempre più a matrice. Le Sister Company devono continuare a fare business, curare il profit & loss (documento contabile che riepiloga i ricavi, i costi e il profitto di un'azienda in un periodo di tempo, ndr) e sviluppare innovazione incrementale, necessaria per mantenere la competitività nei mercati esistenti. Allo stesso tempo, serve un gruppo trasversale, che lavori su tutta la linea aziendale, dedicato all'innovazione strategica.
Questo gruppo deve essere flessibile e capace di mettere insieme le competenze e le esperienze presenti in tutte le Business Lines e nelle diverse regioni, creando team trasversali e multidisciplinari. La definizione, validazione e lo sviluppo di nuove idee – che si tradurranno poi in nuovi prodotti – dovrà passare da qui, mentre la commercializzazione sarà affidata alle Business Unit. Nella cultura della comunicazione trasversale c'è margine di crescita nella capacità di lavorare in team interfunzionali, cross-regionali e cross-Business Line: in MAIRE è un percorso già avviato, su cui stiamo investendo con determinazione. L'obiettivo è arrivare a definire un processo di innovazione omogeneo per tutto il Gruppo, con un team dedicato e responsabile che favorisca la comunicazione, la cross-fertilizzazione e la co-responsabilità tra le diverse funzioni.
In questo scenario, che ruolo avrà il nuovo Green Innovation District?
In questa fase di trasformazione culturale e operativa che stiamo guidando, è fondamentale per un'azienda tecnologica come MAIRE avere una "casa dell'innovazione". È per questo che stiamo realizzando il Green Innovation District: sarà il nostro polo avanzato in cui verranno consolidati i laboratori dedicati alla ricerca e all'analisi, con attività che vanno dalla sperimentazione iniziale (TRL1-TRL4) alla realizzazione di impianti pilota per dimostrare la scalabilità delle tecnologie.
Questi impianti saranno fondamentali per raccogliere dati preziosi – cinetici, modellistici, di durabilità ed economicità – che andranno a formare la base dei nostri pacchetti tecnologici, i cosiddetti technology e-books, che verranno poi concessi in licenza o commercializzati. Ma innovare non significa solo sviluppare la parte tecnologica: fin dall'inizio è essenziale accompagnare questo processo con un'analisi approfondita del mercato. Bisogna definire in modo chiaro le assunzioni commerciali, il posizionamento competitivo, e comprendere in quale segmento di mercato la nostra soluzione apporta davvero valore.
Non basta dire «ho trovato un modo per depolimerizzare il PET». Serve capire: qual è la fetta di mercato che intendo aggredire? Quali sono le alternative già esistenti? Dove la mia soluzione è davvero distintiva? È proprio in questa fase che diventa fondamentale costruire anche un business plan robusto, che vada oltre il conto economico e includa una strategia di marketing, il posizionamento, il valore generato per ogni attore della value chain e la modalità di condivisione di questo valore.
Solo integrando sviluppo tecnologico e strategia commerciale possiamo ridurre il rischio di sviluppare una soluzione che, per quanto brillante, non trova applicazione reale perché superata, troppo costosa o poco allineata alle esigenze del cliente. L'innovazione, per realizzarsi davvero, deve culminare in un pacchetto completo: il technology e-book e un business plan capace di misurare il ritorno dell'investimento in ricerca e sviluppo.
Che cosa significa davvero fare Open Innovation?
Oggi non si vive più in un mondo chiuso: tutte le regioni del mondo lavorano spesso sulle stesse sfide tecnologiche. Pensare che si possa risolvere tutto da soli, all'interno della propria organizzazione, è irrealistico. Serve la capacità di guardarsi intorno, osservare chi ha già sviluppato soluzioni efficaci e attivare collaborazioni investendo, acquisendo o costruendo alleanze tecnico-commerciali. Questo approccio accelera l'innovazione e riduce rischi e costi interni, che a volte possono non dare i risultati sperati.
Tuttavia, ciò che comunemente chiamiamo Open Innovation è un concetto molto più ampio. Non si tratta semplicemente di acquisire una tecnologia: quella è un'azione specifica, un acceleratore. L'Open Innovation funziona davvero solo se inserita all'interno di filiere strutturate, dove ciascun attore conosce il proprio ruolo nella catena del valore. In questo contesto, le competenze non si sovrappongono ma si completano: ognuno contribuisce a una parte del processo e trae un beneficio proporzionato, senza conflitti.
Se, invece, le aziende coinvolte sono in competizione per lo stesso segmento di mercato – come accade spesso nei progetti attuali – allora si crea un clima da 'poker' più che da collaborazione. Si osservano gli altri, ma senza svelare le proprie carte, senza contribuire davvero. In questo caso non è più Open Innovation, ma una strategia opportunistica che ne tradisce lo spirito originario.

Chiudiamo con un tema di strettissima attualità. L'intelligenza artificiale può davvero aiutare l'innovazione? In che modo viene utilizzata oggi in MAIRE?
L'intelligenza artificiale può essere un valido alleato per accelerare alcune fasi dell'innovazione, ma non le sostituisce. Ad esempio, utilizzando piattaforme avanzate come PatSnap possiamo effettuare analisi brevettuali molto complesse. Inserendo una domanda o un tema, il sistema analizza in pochi secondi tutti i brevetti esistenti e restituisce una panoramica chiara: quali aree sono già coperte, dove ci sono discontinuità, quali bisogni restano insoddisfatti. Non ti fornisce la soluzione, ma ti aiuta a individuare i cosiddetti "white space", ovvero i margini dove innovare.
Lo stesso vale per Lux Research, che utilizziamo per attività di technology scouting. È una piattaforma molto potente, in grado di incrociare dati da startup, centri di ricerca e pubblicazioni scientifiche. In questo modo, possiamo mappare con rapidità chi sta lavorando su determinati temi o tecnologie e ottenere un quadro aggiornato della letteratura scientifica.
Tuttavia, queste tecnologie non sostituiscono la mente umana. L'AI è uno strumento, ma non è in grado di generare quell'atto creativo che consiste nel «connettere l'inconnesso». L'innovazione strategica, in particolare, si muove su territori inesplorati. Ritorno alla citazione di prima: «We don't know what we don't know». E se non conosci una cosa, non puoi chiederla all'intelligenza artificiale, perché non sai neanche cosa cercare. L'intelligenza artificiale aiuta, velocizza, ma non crea. Alla fine, l'innovazione vera è ancora tutta nelle mani dell'intelligenza umana. Forse un giorno arriveremo a qualcosa di diverso, ma per ora la mente dell'uomo resta insostituibile.

INSPIRE INNOVATION
Innovation is in everything we do. We improve as we learn, and we engage others to keep that mindset.
L'innovazione è una parte essenziale dell'approccio di MAIRE: è il pilastro che deve guidare decisioni, attività ed obiettivi, così come guida la realtà del Gruppo. È un aspetto in continua evoluzione che deve costantemente progredire e svilupparsi attraverso l'esperienza e l'acquisizione di nuove conoscenze. Proprio per questo l'innovazione passa anche dal coinvolgimento attivo delle altre persone al fine di mantenere ed incentivare una cultura basata sulla condivisione di idee volta al progresso.
COPILOT, UN VIAGGIO HUMANS IN THE LOOP
In MAIRE, l'intelligenza artificiale non è un fine, ma un alleato. Fa parte di un percorso culturale e organizzativo centrato sulle persone, come dimostra il progetto "Humans in the Loop". Il titolo, ispirato all'omonimo libro del francescano Paolo Benanti, è già una dichiarazione d'intenti: in un'epoca guidata dall'AI, l'intelligenza umana resta la vera protagonista.
Nato dalla visione del CIO Michele Mariella, "Humans in the Loop" rappresenta il cuore della trasformazione digitale di MAIRE, un gruppo presente in 50 Paesi con oltre 10mila persone. La forza del progetto risiede nell'approccio partecipativo: più di 4.000 dipendenti sono stati coinvolti attivamente nel ripensamento di processi, strumenti e abitudini lavorative. Non una rivoluzione calata dall'alto, ma un cambiamento condiviso, fondato su fiducia e responsabilità.
Tecnologia al servizio delle persone
Uno degli esempi più emblematici di questa filosofia è l'adozione di Copilot, l'assistente digitale potenziato dall'intelligenza artificiale. MAIRE ha dato vita a Engage, una community interna di utenti Copilot a cui è stato chiesto non solo di sperimentare lo strumento, ma anche di contribuire alla scrittura di una vera e propria "Costituzione Digitale": dieci principi guida per un utilizzo consapevole dell'AI.
Nella fase iniziale si è evitato di applicare metriche rigide, lasciando spazio all'osservazione e alla creatività. I risultati? Concreti: fino a 5 ore settimanali risparmiate per dipendente sulle attività ripetitive e l'emergere di una nuova mentalità che supera il concetto di semplice efficienza individuale. Le procedure di qualità sono state riscritte integrando i prompt di Copilot, coinvolgendo tutti i reparti, dalla comunicazione al legale.
La partnership strategica con Microsoft ha reso possibile questa evoluzione, offrendo non solo tecnologia, ma anche un supporto costante attraverso esperti, account manager e formatori. Grazie a questo approccio, MAIRE è riuscita ad ampliare l'uso di Copilot, passando da 300 a 2.000 licenze, assegnate tramite una call-to-action interna che ha generato un sorprendente tasso di adozione.
Poco dopo l'assegnazione delle licenze, viene erogata una formazione introduttiva per illustrare le funzionalità principali e spiegare come personalizzare l'esperienza d'uso. Il training è curato da un team interno con consolidata esperienza tecnologica e approfondita conoscenza delle applicazioni pratiche in ambito aziendale, illustrate durante le sessioni. Il gruppo di adoption accompagna regolarmente le persone, individuando i casi d'uso più rilevanti. I prompt e le applicazioni più efficaci vengono sviluppati, testati e poi condivisi con l'intera popolazione aziendale.
Copilot Challenge: idee che fanno la differenza
A rafforzare il valore collettivo di questo percorso è nata la Copilot Challenge, una sfida aziendale che invita i team di MAIRE di tutto il mondo a pre- sentare i loro use case più innovativi.
La Copilot Challenge è una sfida interna lanciata a fine 2024, pensata per valorizzare e premiare gli usi più creativi dell'intelligenza artificiale generativa all'interno del Gruppo MAIRE. L'iniziativa mira a stimolare la collaborazione tra le persone, favorendo la creazione di soluzioni innovative.
La partecipazione in team era un requisito fondamentale, a sottolineare come l'elemento collaborativo sia un abilitatore chiave per sviluppare casi d'uso da diffondere all'interno dei dipartimenti. La sfida ha coinvolto oltre 130 persone, organizzate in 38 team, e ha generato più di 45 use case. Le proposte sono state valutate dai Direttori delle principali funzioni di Gruppo, in base a criteri come la facilità di implementazione, l'impatto generato e la possibilità di estenderle ad altri dipartimenti. I vincitori saranno premiati con opportunità di sviluppo e formazione sul tema dell'intelligenza artificiale.
La Copilot Challenge rappresenta un'opportunità unica per le persone di MAIRE di dimostrare la propria capacità di innovazione e contribuire attivamente alla trasformazione digitale del Gruppo. Collaborazione e innovazione sono al centro di questa iniziativa, che continua a evolversi e a promuovere l'adozione di nuove tecnologie all'interno dell'organizzazione.
Per MAIRE, la vera innovazione nasce dal basso, dalla creatività condivisa e da un nuovo modo di vivere la tecnologia. Perché, come ricorda il progetto Humans in the Loop, l'AI non sostituisce l'uomo, ma ne amplifica le capacità. Insieme, è possibile lavorare meglio, con più intelligenza. E soprattutto, con più umanità.

GREEN INNOVATION DISTRICT: IL CUORE DELL'INNOVAZIONE SOSTENIBILE
Sarà il nuovo epicentro dell'innovazione tecnologica di MAIRE, concepito da NEXTCHEM come polo d'eccellenza per lo sviluppo di soluzioni a supporto della transizione energetica. Sorgerà nella storica sede romana del Gruppo, in via di Vannina, il Green Innovation District (GID), incarnando una visione evolutiva dove per- sone, tecnologie e sostenibilità si intrecceranno per costruire il futuro dell'industria.
Il progetto – che si sviluppa su una superficie complessiva di circa 7.000 metri quadri, di cui 1.400 dedicati a laboratori e 2.700 ad aree per impianti pilota – è articolato in tre edifici in corso di ristrutturazione e costruzione, nei quali prenderanno vita fino a 20 impianti pilota del Gruppo. Queste strutture consentiranno di testare tecnologie avanzate per la produzione di idrogeno, bioplastiche, fertilizzanti sostenibili, combustibili alternativi e materiali innovativi.
Ma il GID non è solo uno spazio fisico: è una piattaforma collaborativa che coinvolge oltre 200 professionisti a pieno regime e promuove un ecosistema aperto all'interazione con il mondo accademico e industriale. Sono già attive partnership strategiche con le università di Milano, Roma e Salerno, che collaborano allo sviluppo e alla sperimentazione delle tecnologie del futuro. Un esempio concreto di come la contaminazione tra ricerca e impresa possa generare innovazione di valore.
Come ha dichiarato il presidente Fabrizio Di Amato: «Questo distretto sarà il cuore pulsante delle nostre attività di ricerca e sviluppo. Gli impianti pilota dimostreranno non solo le nostre capacità tecnologiche, ma fungeranno da catalizzatori per la scalabilità commerciale delle innovazioni». In questo approccio, il GID è pensato come un centro esperienziale e di apprendimento, dove la conoscenza si traduce in soluzioni concrete.
Il distretto si inserisce in un percorso di trasformazione più ampio, avviato da MAIRE oltre dieci anni fa e fondato sulla convergenza tra economia circolare, chimica verde e digitalizzazione. Un cammino che oggi si rafforza anche grazie all'adozione di strumenti di intelligenza artificiale, integrati in modo organico con il lavoro umano.
«In questa fase di trasformazione culturale e operativa che stiamo guidando, è fondamentale per un'azienda tecnologica come MAIRE avere una "casa dell'innovazione". È per questo che stiamo realizzando il Green Innovation District», ha spiegato Antonio Batistini nell'intervista pubblicata su questo numero di EVOLVE.
In questo contesto, il GID rappresenta il luogo ideale dove tecnologia e talento umano si incontrano per costruire una nuova cultura industriale. Il Green Innovation District è, quindi, molto più di un centro R&D: è il simbolo dell'impegno di MAIRE per un futuro a basse emissioni, fondato sulla sperimentazione, sulla formazione e sul miglioramento continuo. Un modello di distretto verde replicabile, in grado di generare valore per la società, l'ambiente e le prossime generazioni.
MAIRE. CRESCERE CON VISIONE: IL FUTURO SI COSTRUISCE OGGI