In un'epoca che ci spinge a scegliere presto, correre veloce e trovare risposte definitive, può sembrare paradossale fermarsi a riflettere su come si impara, si innova e si cambia davvero. Eppure, è proprio in questo spazio di riflessione che nascono le trasformazioni più autentiche.

In questo numero di EVOLVE dedicato all'innovazione ispirata (Inspire Innovation), abbiamo selezionato tre libri che sfidano il tempo e le convenzioni, proponendo nuovi modi di vedere il futuro. Con Range: Why Generalists Triumph in a Specialized World, David Epstein rivaluta la figura del generalista come risorsa preziosa per affrontare un mondo complesso e imprevedibile. In Innovation and Its Enemies: Why People Resist New Technologies, Calestous Juma esplora le cause profonde – spesso socioeconomiche e culturali – che ostacolano l'adozione di nuove tecnologie. Infine, Tim Brown, con Change by Design: How Design Thinking Transforms Organizations and Inspires Innovation, mostra come il design thinking possa diventare una mentalità diffusa per generare soluzioni umane, concrete e partecipative. Tre prospettive diverse, ma pro- fondamente complementari. Tre strumenti per ripensare non solo ciò che facciamo, ma anche come pensiamo.

Epstein: il futuro appartiene ai generalisti

Per decenni ci hanno ripetuto che il segreto del successo fosse la specializzazione precoce. Che bisognasse iniziare da piccoli, concentrarsi su una sola cosa, accumulare ore di pratica deliberata e scalare la vetta. Ma cosa succede se tutto questo non è vero' O almeno, non sempre' È questa la domanda da cui parte David Epstein, giornalista scientifico ed ex atleta, nel suo saggio Range. Why Generalists Triumph in a Specialized World, che ha conquistato il primo posto nella classifica del New York Times ed è stato candidato al premio Business Book of the Year del Financial Times.

Con uno stile brillante e rigoroso, Epstein mette in discussione una delle idee più radicate della nostra epoca: quella secondo cui la specializzazione sia l'unica strada per l'eccellenza. Attraverso una mole impressionante di ricerche e storie di successo, dimostra invece che a primeggiare – nello sport, nella scienza, nell'arte, nella tecnologia – sono spesso i generalisti, coloro che hanno attraversato esperienze diverse, cambiato percorsi, abbracciato l'ampiezza prima della profondità.

Il simbolo di questo approccio è lo svizzero Roger Federer, che da ragazzo praticava skateboard, calcio e badminton prima di dedicarsi seriamente al tennis. Il suo opposto? Il golfista statunitense Tiger Woods, il prodigio precoce. Eppure, secondo Epstein, il modello Federer è molto più comune – e vincente – di quanto si pensi.

Il cuore dell'argomentazione di Range è che il mondo attuale, definito "wicked" (maligno, complesso, imprevedibile), premia non chi si è specializzato in un sistema chiuso e ripetitivo come una partita a scacchi, ma chi sa connettere idee, cambiare contesto, affrontare l'ignoto con flessibilità mentale. In un'epoca di cambiamenti accelerati, non serve solo saper ripetere ciò che funziona: serve inventare ciò che ancora non esiste. È necessario «avere molte app aperte nella testa».

A emergere è una nuova figura: il pensatore sistemico, capace di costruire modelli mentali ampi, attingendo a campi diversi. Epstein ne trova tracce in Leonardo da Vinci, Charles Darwin, Steve Jobs. Persone che, prima di arrivare alla loro grande scoperta, hanno fallito, esplorato, abbandonato sentieri battuti. E che proprio per questo hanno innovato.

Range è dunque un manifesto per chi non si riconosce in un’unica etichetta. Per chi ama sperimentare, cambiare, sbagliare, ricominciare. È un libro che restituisce dignità e forza al "profilo ibrido", e che ci invita a coltivare l'ampiezza, non come inefficienza, ma come una risorsa preziosa per affrontare le sfide del presente.

Come ha scritto Bill Gates, commentando Range, «se sei un generalista che si è mai sentito messo in ombra dai colleghi più specializzati, questo libro fa per te».

Juma: perché l'innovazione spaventa?

Perché le persone resistono al cambiamento, anche quando il cambiamento potrebbe migliorarne la vita' È questa la domanda chiave da cui parte il saggio Innovation and Its Enemies di Calestous Juma, scienziato keniota e docente ad Harvard, uno dei più autorevoli esperti mondiali di innovazione tecnologica e politica scientifica.

Juma analizza oltre 600 anni di storia dell'innovazione e ne trae un messaggio potente e attuale: la resistenza al progresso non è mai solo una questione di sicurezza o di valori morali. È, più spesso, una reazione socioeconomica e identitaria. Le persone, le istituzioni e le industrie tendono a opporsi a ciò che percepiscono come una minaccia al proprio potere, ai propri guadagni o alla propria cultura. Il vero motore della paura non è la novità, ma la perdita di ciò che si conosce.

Nel libro, Juma presenta una serie di casi emblematici: dal caffè, temuto dai leader religiosi per il suo effetto "intossicante" e per la sua capacità di creare spazi di socialità alternativi alle moschee, alla margarina, osteggiata dalla lobby del latte. Dai trattori agricoli, avversati dagli allevatori di cavalli, fino ai cibi OGM, sviluppati per ridurre l'uso di pesticidi ma ostacolati da un fronte trasversale di governi, attivisti e opinione pubblica. In tutti questi esempi, l'autore mostra come la sfiducia nelle istituzioni e la sensazione di esclusione siano le principali molle della resistenza.

Secondo Juma, molte tecnologie non vengono respinte perché inutili o pericolose, ma perché alterano gli equilibri esistenti. In un mondo in cui i benefici di un'innovazione sembrano concentrarsi su pochi, mentre i rischi si distribuiscono su molti, è naturale che nascano fratture sociali. Ed è proprio questa tensione tra innovazione e stabilità a rappresentare una delle sfide più delicate per le politiche pubbliche contemporanee.

L'autore invita quindi a un nuovo paradigma di governance dell'innovazione: più trasparente, inclusivo e partecipato. Non basta comunicare meglio le nuove tecnologie: bisogna coinvolgere attivamente chi potrà beneficiarne e soprattutto chi teme di rimetterci. Gli agricoltori, per esempio, devono essere ascoltati nei dibattiti sugli OGM; i cittadini, coinvolti nelle scelte sull'intelligenza artificiale o sulle energie rinnovabili.

La posta in gioco, spiega Juma, è alta: «In un mondo sempre più complesso e incerto, i rischi del non fare nulla possono superare quelli dell'innovare». Per questo è fondamentale che scienziati, imprenditori e decisori politici agiscano insieme, per facilitare l'adozione delle innovazioni utili e contrastare le disuguaglianze che alimentano la paura.

Innovation and Its Enemies è un saggio profondo e accessibile, che unisce storia, sociologia e politica in un unico grande racconto sull'umanità e il suo rapporto con il cambiamento. Una lettura indispensabile per chi crede che l'innovazione debba essere non solo tecnologica, ma anche sociale e culturale. Perché l'innovazione, se non è condivisa, rischia di diventare solo un'altra forma di esclusione

Brown: il design thinking come strategia per cambiare il mondo

«Non c'è niente di più frustrante che trovare la risposta giusta alla domanda sbagliata». Quando pensiamo all'innovazione, spesso immaginiamo idee geniali che nascono da menti straordinarie in un lampo di ispirazione. Ma la realtà è un'altra: l'innovazione è un processo. E in questo processo il design thinking gioca un ruolo sempre più decisivo. A spiegarlo è Tim Brown, CEO di IDEO, una delle società più influenti nel campo del design e dell'innovazione, nel suo libro Change by Design.

Il design thinking, secondo Brown, non è riservato ai designer di professione. È un metodo, anzi una mentalità, che può essere adottata da manager, imprenditori, educatori e leader di ogni settore. Si tratta di un approccio umano-centrico alla risoluzione dei problemi, che parte dall'ascolto delle persone e dei loro bisogni, integra la creatività con l'analisi, e arriva a soluzioni nuove, fattibili e sostenibili.

Il libro è ricco di casi concreti tratti dall'esperienza diretta di IDEO. In uno di questi, un team ha riprogettato il cambio turno degli infermieri in un ospedale americano: non partendo da un foglio Excel, ma osservando la realtà con gli occhi del paziente. In un altro, un produttore di componenti per biciclette ha scoperto un nuovo segmento di mercato – gli adulti occasionali – semplicemente ripensando l'esperienza emotiva legata all'andare in bici. In entrambi i casi, l'innovazione non nasce dalla tecnologia, ma dall'empatia.

Brown insiste molto sull'importanza del prototyping: costruire, testare, sbagliare, ripetere. Non si tratta solo di disegnare oggetti, ma di mettere le idee alla prova nella realtà, anche attraverso simulazioni, giochi di ruolo, modellini. È un modo per imparare in fretta, correggere in corsa e arrivare prima a soluzioni efficaci. "Fail early to succeed sooner", scrive Brown: sbaglia in fretta per avere successo prima!

Ma c'è di più. Il design thinking è anche una cultura organizzativa che premia la collaborazione, la curiosità e la libertà di sperimentare. In un passaggio emblematico, Brown racconta come un giovane ingegnere di Hewlett-Packard abbia disobbedito a un ordine diretto dei vertici per sviluppare un nuovo tipo di schermo. Quel gesto ribelle ha portato all'invenzione del primo monitor a grande schermo, aprendo una nuova era per l'informatica.

Uno dei concetti più potenti del libro è che il valore oggi si sposta dal prodotto all'esperienza. Le persone non vogliono solo acquistare qualcosa, vogliono partecipare, essere coinvolte, riconoscersi nel servizio o nel brand. Il compito del design, allora, non è solo creare oggetti belli, ma orchestrare esperienze significative.

Change by Design è più di un manuale: è un manifesto per un'innovazione democratica, partecipata e accessibile. Brown non vuole che tutti diventino designer, ma che tutti inizino a pensare come designer. Perché in un mondo complesso e in continuo cambiamento, la vera competenza distintiva non è sapere già la risposta, ma saper porre la domanda giusta.